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l'ultimo inganno / un'altra Iliade
mana chuma teatroRegia: Salvatore Arena e Massimo Barilla
Drammaturgia:
Attori: Salvatore Arena Attore tra i più versatili della nuova generazione ha collaborato con artisti importanti quali Marco Baliani (Giufà, San Francesco di Saramago, Bertoldo), Letizia Quintavalla (Fango), Scimone e Sframeli (La busta, Pali, Giù con i quali ha vinto 2 premi Ubu). Premio Eolo per il Teatro Ragazzi con Per la strada. Come autore finalista al Premio Riccione con Longa è a jurnata e al Premio Ustica per il teatro con La cisterna. Dal 2002 codirige Mana Chuma Teatro, sviluppando con Massimo Barilla, un percorso di ricerca tra forme altre di narrazione e nuova drammaturgia (L’ultimo inganno/un’altra Iliade; Trilogia “A sud della memoria”: Il mondo offeso, Di terra e di sangue, ‘70voltesud; Terribìlio di mare; Historia du surdatu; Spine; Lunga notte di Medea)
Anno: 2010
Con L’ultimo inganno – Un’altra Iliade i due autori spingono oltre la loro ricerca sul racconto e provano ad esplorare una nuova forma ibrida, che fonde elementi della moderna narrazione, con il teatro di prosa e lo studio interpretativo del personaggio.
Le battaglie, gli scontri, gli epici duelli, la caduta, l’oblio, le macerie, le mura distrutte, la fuga, la dispersione, la necessità di raccontare ...un’Iliade vista di spalle, dai margini... dagli ultimi.
L’ultimo inganno non è infatti una semplice rilettura del poema omerico, ma una ri-costruzione di una storia che cambiando il punto di vista diventa immediatamente ed inevitabilmente altra. Un affondo nell’intimo smarrirsi dell’uomo davanti alla guerra, la guerra di ogni epoca, e nella sua, nonostante tutto, persistente e resistente vitalità.
Salvatore Arena si cimenta in una prova d’attore in cui si affacciano due personaggi, due dimensioni, due altezze: Tersite, anti-eroe fuori dal coro, e una vedetta troiana condannata a ricordare .
Da questo contrappunto la storia si dipana, con voci alterne, e non tralascia niente. Il riso e il pianto. La farsa e la tragedia. La luce e il buio. L’orrore e la pietà. E tutto scorre, il ritmo è incalzante, nessun respiro in più del necessario. Nessuna concessione alla retorica. La storia vive e si alimenta dentro al cerchio del racconto. Affronta anche la fascinazione della narrazione epica, la straripante bellezza delle schiere armate, delle navi che oscurano il mare, delle insegne colorate, non ne nega l’essenza, la potenza dell’immagine, ma l’attraversa per andare oltre, e il senso che ne scaturisce è nuovo. Un amara vertigine, “un dolore bianco”.
La lingua è ricca, multiforme, dirompente, procede per accumulo, raccoglie immagini classiche, costruzioni dialettali, citazioni shakespeariane, omaggi a Mimmo Cuticchio ed Eduardo, rimandi a Malick o ai canti popolari, ma con una precisa unità di fondo. Tutto in funzione del senso profondo del racconto e mai in maniera pretestuosa.
Le scene di Aldo Zucco, sfuggenti anch’esse e affastellate, costellate di sentimenti incastrati tra lamiere e tavole rotte, leggere e attraversabili, raccontano di un trascorrere ciclico del tempo, in cui tutto si trasforma per restare uguale. Sfondano lo spazio aprendo varchi e paesaggi dentro i quali Beatrice Ficalbi, con il suo disegno luci, gioca ad inventare un poetica pittorica di luci e ombre, di pieni e di vuoti. Ad essa si accompagna l’avvolgente drammaturgia dei suoni creata da Dario Andrioli, anch’essa fortemente evocativa, che incastra il pubblico dentro la storia, nella dinamica incessante tra il vicino e il lontano, tra l’ascoltabile e il percepibile.
L’ultimo inganno – Un’altra Iliade prodotto da Mana Chuma Teatro in coproduzione con la Fondazione Horcynus Orca, si è avvalso di una serie di apporti che hanno contribuito alla sua realizzazione. In particolar modo nasce attraverso un’importante collaborazione con il Teatro delle Briciole di Parma
Le battaglie, gli scontri, gli epici duelli, la caduta, l’oblio, le macerie, le mura distrutte, la fuga, la dispersione, la necessità di raccontare ...un’Iliade vista di spalle, dai margini... dagli ultimi.
L’ultimo inganno non è infatti una semplice rilettura del poema omerico, ma una ri-costruzione di una storia che cambiando il punto di vista diventa immediatamente ed inevitabilmente altra. Un affondo nell’intimo smarrirsi dell’uomo davanti alla guerra, la guerra di ogni epoca, e nella sua, nonostante tutto, persistente e resistente vitalità.
Salvatore Arena si cimenta in una prova d’attore in cui si affacciano due personaggi, due dimensioni, due altezze: Tersite, anti-eroe fuori dal coro, e una vedetta troiana condannata a ricordare .
Da questo contrappunto la storia si dipana, con voci alterne, e non tralascia niente. Il riso e il pianto. La farsa e la tragedia. La luce e il buio. L’orrore e la pietà. E tutto scorre, il ritmo è incalzante, nessun respiro in più del necessario. Nessuna concessione alla retorica. La storia vive e si alimenta dentro al cerchio del racconto. Affronta anche la fascinazione della narrazione epica, la straripante bellezza delle schiere armate, delle navi che oscurano il mare, delle insegne colorate, non ne nega l’essenza, la potenza dell’immagine, ma l’attraversa per andare oltre, e il senso che ne scaturisce è nuovo. Un amara vertigine, “un dolore bianco”.
La lingua è ricca, multiforme, dirompente, procede per accumulo, raccoglie immagini classiche, costruzioni dialettali, citazioni shakespeariane, omaggi a Mimmo Cuticchio ed Eduardo, rimandi a Malick o ai canti popolari, ma con una precisa unità di fondo. Tutto in funzione del senso profondo del racconto e mai in maniera pretestuosa.
Le scene di Aldo Zucco, sfuggenti anch’esse e affastellate, costellate di sentimenti incastrati tra lamiere e tavole rotte, leggere e attraversabili, raccontano di un trascorrere ciclico del tempo, in cui tutto si trasforma per restare uguale. Sfondano lo spazio aprendo varchi e paesaggi dentro i quali Beatrice Ficalbi, con il suo disegno luci, gioca ad inventare un poetica pittorica di luci e ombre, di pieni e di vuoti. Ad essa si accompagna l’avvolgente drammaturgia dei suoni creata da Dario Andrioli, anch’essa fortemente evocativa, che incastra il pubblico dentro la storia, nella dinamica incessante tra il vicino e il lontano, tra l’ascoltabile e il percepibile.
L’ultimo inganno – Un’altra Iliade prodotto da Mana Chuma Teatro in coproduzione con la Fondazione Horcynus Orca, si è avvalso di una serie di apporti che hanno contribuito alla sua realizzazione. In particolar modo nasce attraverso un’importante collaborazione con il Teatro delle Briciole di Parma
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Nata a Reggio Calabria nella seconda metà degli anni novanta, Mana Chuma sceglie fin dal principio di confrontarsi soprattutto con l’identità culturale e storica del territorio meridionale, sviluppando un proprio approccio alla drammaturgia legato alla contaminazione tra linguaggi differenti, e curando in particolar modo la ricerca sullo spazio e la sperimentazione di luoghi “altri” per il teatro. Del 1998 è "Vita e morte di Ruggieri di Risa" di Massimo Barilla, liberamente ispirato a "La canzone d'Aspromonte" (poema epico del XV secolo). “Terribìlio di mare – da Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo” (2001), con la regia di Maria Maglietta, si inaugura un cammino di ricerca che si propone di creare spazi per il confronto tra idee, esperienze e generazioni teatrali diverse. “Il mondo offeso” (2002) - da Conversazione in Sicilia, per la regia di Maria Maglietta, con Salvatore Arena,- dà continuità a questo progetto artistico, proprio nella necessità espressa dalla lezione di Vittorini di “cose da fare per la nostra coscienza in un senso nuovo”. Dopo il debutto a Primavera dei teatri 2mila2 realizza oltre 120 repliche su tutto il territorio nazionale.
“Historia du surdatu” (2003) di Massimo Barilla, con la regia di Luciano Nattino (coproduzione Mana Chuma – Casa degli Alfieri – Astiteatro 25) mette insieme una reinvenzione dell’“Histoire du soldat” di Strawinsky-Ramuz in chiave assolutamente meridionale, con l’analisi della figura dello stolto nella tradizione popolare.
“Spine” (2003) di Massimo Barilla e Salvatore Arena (Finalista al Premio Ustica per il teatro), storia originale legata all’Otello, muove dall’esigenza di confrontarsi con una storia alta a partire dai margini, dai vuoti non raccontati, dagli spazi oscuri in cui altre passioni si agitano. “Lunga notte di Medea” (2004) di Corrado Alvaro, tra gli altri con Lucia Sardo e Salvatore Arena, co-prodotto con Parco Nazionale dell’Aspromonte e Fondazione Corrado Alvaro propone una rilettura in chiave contemporanea di uno dei più importanti testi tragici del novecento.
“Di terra e di sangue” (2005) di Massimo Barilla e Salvatore Arena, per la regia di Maria Maglietta, con Salvatore Arena, racconta la vicenda, epica e straordinaria ad un tempo, di Salvatore Carnevale, sindacalista siciliano ucciso dalla mafia durante la lotta per le terre. Lo spettacolo, inserito nel Centenario della CGIL, è stato presentato al Teatro Valle di Roma in occasione del 50° anniversario della morte di Carnevale, presentato da Guglielmo Epifani. ’70voltesud (2007) racconta i Moti di Reggio del ’70, la strage di Gioia Tauro, gli scellerati patti eversivi tra ’ndrangheta, fascisti e servizi deviati, rivissuti attraverso la storia dei cinque giovanissimi anarchici calabresi. Un primo studio di "Longa è a jurnata" (2014) di Salvatore Arena testo finalista al Premio Riccione è stato presentato all'interno della Stagione RivelAzioni del Teatro Siracusa. Mana Chuma è tra i soci promotori della Fondazione Horcynus Orca
“Historia du surdatu” (2003) di Massimo Barilla, con la regia di Luciano Nattino (coproduzione Mana Chuma – Casa degli Alfieri – Astiteatro 25) mette insieme una reinvenzione dell’“Histoire du soldat” di Strawinsky-Ramuz in chiave assolutamente meridionale, con l’analisi della figura dello stolto nella tradizione popolare.
“Spine” (2003) di Massimo Barilla e Salvatore Arena (Finalista al Premio Ustica per il teatro), storia originale legata all’Otello, muove dall’esigenza di confrontarsi con una storia alta a partire dai margini, dai vuoti non raccontati, dagli spazi oscuri in cui altre passioni si agitano. “Lunga notte di Medea” (2004) di Corrado Alvaro, tra gli altri con Lucia Sardo e Salvatore Arena, co-prodotto con Parco Nazionale dell’Aspromonte e Fondazione Corrado Alvaro propone una rilettura in chiave contemporanea di uno dei più importanti testi tragici del novecento.
“Di terra e di sangue” (2005) di Massimo Barilla e Salvatore Arena, per la regia di Maria Maglietta, con Salvatore Arena, racconta la vicenda, epica e straordinaria ad un tempo, di Salvatore Carnevale, sindacalista siciliano ucciso dalla mafia durante la lotta per le terre. Lo spettacolo, inserito nel Centenario della CGIL, è stato presentato al Teatro Valle di Roma in occasione del 50° anniversario della morte di Carnevale, presentato da Guglielmo Epifani. ’70voltesud (2007) racconta i Moti di Reggio del ’70, la strage di Gioia Tauro, gli scellerati patti eversivi tra ’ndrangheta, fascisti e servizi deviati, rivissuti attraverso la storia dei cinque giovanissimi anarchici calabresi. Un primo studio di "Longa è a jurnata" (2014) di Salvatore Arena testo finalista al Premio Riccione è stato presentato all'interno della Stagione RivelAzioni del Teatro Siracusa. Mana Chuma è tra i soci promotori della Fondazione Horcynus Orca